Testo:
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Roma, 8 agosto 1943
Mio caro Paolo,
e così ci siamo liberati dei baracconi
della fiera fascista. Restano al completo
tutti i giocolieri e tutti gli istrioni, e -
quel che è più – resta l’abito di leggerezza
così adatto al popolo italiano, impolitico
per eccellenza.
Nell’universale tripudio del 25-26 luglio era
già dato di avvertire che gl’italiani si liberavano
dei distintivi, delle tessere, dei fasci scolpiti e
dipinti, ma non già delle tare ereditarie, ag=
gravate da vent’anni di regime bestiale e
idiota. In gran copia si manifestano personalissimi
arrembaggi, e si ostentano i titoli della benemerenza
antifascista e ci si affretta a precisare l’anzianità
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I pontefici massimi, anche nel nostro
campo – con non so quale autorità – elargiscono
investiture e scomuniche.
Ma, pazienza! Auguriamoci che fra poco ognuno
veda meglio quale sia il proprio dovere preciso.
Intanto viviamo nella gioia della liberazione da
quanto di più insolentemente oppressivo era
nell’impalcatura del fascismo. Oh! la notte
indimenticabile del 25 luglio! Le corse pazze, gli
abbracciamenti, gli sfoghi ingenui e pur tanto
salutari, i vetri rotti, le insegne strappate, e
la gioia nella contemplazione della furia puri=
ficatrice del fuoco. Ho fatto il ragazzaccio dalle
undici di sera alle sei del mattino, armato
d’un pezzo di attaccapanni rotto nell’anticamera
del "Messaggero", confuso tra ragazzacci veri e
uomini maturi fattisi improvvisamente monelli,
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tra ufficiali di tutte le armi – e perfino un generale
(non in servizio quella notte) – e tre operai desiderosi
di menar le mani. Le porte si aprivano
come per incanto – e ricordavo le parole di
Mameli "quando il popolo si desta, Dio si mette
alla sua testa, la sua folgore gli dà" – e
i segni del regime di ferro, di quello che
aveva reso l’Italia blocco granitico, venivano dispersi,
si liquefacevano proprio come un gelatino nel
mese di luglio. Tanta gioia, tanto
schietto sentire non avevo più avvertito in me
e intorno a me dal lontano 3-4 novembre
1918, quando giunse la nuova dell’armistizio
che poneva fine alla prima guerra mondiale.
E ora passiamo a noi: son contento di
apprendere che il tuo male è cosa da nulla. L’avevo
già intuito, e per quanto mi dicevi delle manifesta=
zioni di esso, e perché volevo che fosse cosa da nulla.
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Cerca di guarire presto. Ci sarà molto da fare
per vincere la reazione che prossimamente
inizierà i suoi estremi tentativi. Procura di
seguire ogni prescrizione, di bandire ogni impa=
zienza, ché il voler guarire è diverso dal=
l’impazienza di guarire.
Al tuo ritorno troverai organizzate parecchie
cosette e avrai pronto il posto per la nuova
e più vera attività.
Abbracci e affezioni,
Gioacchino
| L’immagine riproduce la fotocopia della prima facciata della lettera scritta da Gioacchino Gesmundo all’ex-alunno Paolo Aringoli. La data, "8 luglio 1943", è chiaramente errata, ed è stata corretta in "8 agosto 1943" da una mano differente da quella dell’autore.
L’immagine riproduce la fotocopia della seconda facciata della lettera scritta da Gioacchino Gesmundo all’ex-alunno Paolo Aringoli.
L’immagine riproduce la fotocopia della terza facciata della lettera scritta da Gioacchino Gesmundo all’ex-alunno Paolo Aringoli.
L’immagine riproduce la fotocopia della quarta facciata della lettera scritta da Gioacchino Gesmundo all’ex-alunno Paolo Aringoli.
L’immagine riproduce la fotocopia della busta in cui era contenuta la lettera. Sopra al nome "Paolo" è impresso il timbro postale, in cui è riportato il mese di spedizione della missiva in cifre romane ("VIII", quindi: "agosto").
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