Testo:
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6 marzo 1944
Caro Giovanni
in questo momento cruciale della mia vita voglio scriverti per renderti
edotto degli avvenimenti di cui sono stato protagonista e per dirti quale sia la linea
della mia condotta attuale. Qualunque sia la sorte che mi toccherà, sii certo, ed assicu-
ra anche i nostri genitori, che io scelgo questa via con la piena coscienza di compiere
un dovere imprescindibile dettato dalla mia coscienza di uomo di lotta, e di italiano. Nes-
suna esitazione vi è stata nel mio animo, e prego te ed i genitori di non turbarvi per me:
siate tranquilli ed orgogliosi. La Causa del Paese e quindi di tutti ,gli italiani si difen-
de nelle montagne sulle quali mi accingo a tornare.
Dal giorno della proclamazione dello sciopero generale, presso il Comando Partigiano delle Valli di Lanzo, si era deciso di compiere una serie di manifestazioni
che stessero fra la manifestazione di propaganda per la preparazione psicologica della
popolazione e la manifestazione di forza. Coi camion carichi delle formazioni partigiane
siamo scesi nei paesi della vallata e dovunque le popolazioni accolsero i nostri patrioti
con un entusiasmo delirante. In tutti i passi toccati io ho parlato alle popolazioni le
quali con una unanimità commovente domandavano che scendessimo definitivamente a valle
per liberarle dall’oppressione tedesca e fascista. A Lanzo ho parlato di fronte ad una
moltitudine che non finiva di invocare l’intervento partigiano. Il giovedì 3 marzo siamo
scesi nella vallata con 6 camion e diverse macchine cariche delle nostre truppe. L’ iti-
nerario stabilito per quel giorno era: passaggio a Lanzo, Cafasse , Robassomero, Ciriè,
Nole, Mathi e quindi ritorno alla nostra base di partenza. A Robassomero abbiamo fatto
una fermata: con parata delle nostre truppe ed un discorso alla popolazione fatto
da me. Era pure presente il Comandante generale delle valli che ha parlato alle truppe
schierate. Da Robassomero ci siamo inoltrati sulla via di Ciriè paese che sapevamo presi-
diato dal tedeschi. La popolazione ci ha accolti col solito entusiasmo ed i soldati tedeschi
per i quali avevamo preparato un manifesto di propaganda ci guardarono passare ed accolsero
dalle mani dei partigiani, sorridendo, i manifesti redatti in lingue tedesca e italiana.
Giunti a Nole la nostra colonna fece sosta brevemente e mentre stava riprendendo la sua
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marcia, un camion di tedeschi proveniente da Torino ci ha attaccati. E’ pure accertato
che alcuni squadristi spararono sopra le formazioni nostre dalle finestre prospicienti la
piazza. E così avvenne il conflitto. Un capitano nostro morì eroicamente e sette parti-
giani furono feriti. Due di essi vennero fatti prigionieri e massacrati sulla piazza di Ci-
riè dai tedeschi. Anche i tedeschi ebbero delle perdite la cui entità però non è ancora
accertata, come accertate non sono ancora le perdite partigiane.
Sabato quattro marzo io mi sono curato in nodo particolare dei feriti alcuni dei
quali erano stati ricoverati all’ospedale di Lanzo. Al pomeriggio incontrai un altro
nostro ferito che, malgrado le lacerazioni del suo corpo, voleva rientrare nella sua for-
mazione a combattere. Io naturalmente non lo lasciai e poiché il medico dal quale lo
avevo fatto visitare a Ceriè mi aveva consigliato un immediato esame radiologico, mi
decisi di portarlo, nella macchina dello stesso direttore degli ospedali Mauriziani, allo
ospedale di Lanzo. Quivi i dottore, cui una visita accurata gli aveva già fatto conoscere
la gravità delle ferite, si accinse ad estrarre immediatamente i proiettili ancora confic-
cati nelle carni. Durante questa operazione Lanzo è stata invasa ed occupata dai tedeschi
che in numerosi camion venivano ad attaccare le formazioni patriottiche .
Di fronte a questa invasione ho capito immediatamente ed i miei feriti, tutti
colpiti alle gambe non potevamo fuggire. Decisi quindi di restare con loro e di dividere
la loro sorte.
Tutte le monache, infermiere ed i medici hanno fatto quanto era in loro potere
per mascherarci come ammalati ordinari, ed io stesso, svestitomi della divisa partigiana
sono stato posto in un letto nella stessa corsia deve erano giacenti i miei compagni
combattenti. Chiuse le imposte delle finestre nelle semioscurità del salone le monache
e tutti gli ammalati intonarono ad alta voce una preghiera per la salvezza nostra di patrio-
ti. La preghiera era appena terminata che fecero irruzione i tedeschi intimando ai "ribelli"
di alzare le mani. Poiché nessuno alzava le mani, intimarono al medico, buon amico nostro
di dire quali erano i "ribelli": il medico si è rifiutato. Presero quindi la Suora Superio-
ra e le demandarono di consegnare i quattro " feriti ribelli. E’ evidente che vi era sta-
ta una spia che aveva detto loro che i feriti ricoverati erano "quattro" come effetivamen-
te erano. La Suora Superiora dopo avere invocato dai tedeschi la loro assicurazione c
non avrebbero fatto del male ai feriti, ed avuta la promossa da questi, incomincio ad
indicare i patrioti: avevo i tedeschi vicino al letto dove giacevo come finto ammalato
e ho dovuto assistere con la faccia impassibile ma con la tempesta più tragica nel cuore
al prelievo dei miei feriti: uno, due, tre, quattro, e la Superiora indicava pronuncian-
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do il numero dei feriti che venivano subito avvicinati dai tedeschi. Giunta al numero quat=
tro la suora si era fermata: vi ero ancora io da indicare. Bastava che essa dicesse ancora un
numero e sarebbe toccata a me: questo numero non lo disse ed i tedeschi non insistettero ol=
tre i quattro che il numero sul quale erano stati informati.
Non auguro a nessuno di trovarsi mai nella condizione in cui mi sono trovato io in quel
momento: vedere portar via i propri soldati ed essere impotente a salvarli. Avrei voluto
svelarmi ma non ho pensato che il mio sacrificio non avrebbe salvato loro: se avessi avuto an=
che la più piccola probabilità di salvarli con il mio sacrificio l’avrei fatto senza esita=
zione e con l’animo sgombro da ogni spirito di conservazione della mia persona. Purtroppo
invece con i tedeschi questo non è possibile ed allora ho pensato che sarei stato ancora u=
tile altrove alla causa del Paese. Quando i tedeschi, finita l’azione del prelievo, se ne an=
darono scoppiai in lacrime come uno sfogo di rabbia impotente tenuta a lungo nel cuore.
Le suore e gli ammalati mi furono ancora attorno: io parlai loro del delitto di cui si mac=
chiavano i tedeschi e dell’eroico sacrificio dei giovani patrioti. Una monaca giunse le ma=
ni e di fronte a tutti i presenti che, presi dalla commozione, piangevano, disse: offriamo
questo sacrificio per il riscatto della Patria.
La mia permanenza nell’ospedale non era più sicura, troppi sapevano che io ero stato sal=
vo per caso. I tedeschi informati della cosa avrebbero potuto ritornare. Si poneva quindi il
problema del mio salvataggio. Un medico mi ha imprestato i suoi abiti e tutto l’occorrente.
Vestito da civile, non ero più riconoscibile,però bisognava uscire dall’ospedale ed andare
in altro rifugio. Dove? Nessuno sapeva indicarmi un luogo sicuro. La sacrestia della chiesa
dell’ospedale è stato il primo luogo di rifugio,indi attraverso l’aiuto di un padre salesia=
no del Collegio Don Bosco trovai ospitalità nel collegio stesso. Il buon sacerdote,il cui
nome ricorderò sempre con affetto, mi fu compagno nelle strade da attraversare e di guida
per il collegio. E’ stato lui a perorare la causa presso il Direttore del Collegio ottenen=
do, sotto la sua responsabilità personale,l’autorizzazione ad ospitarmi. Nel lasciarmi, il
buon salesiano, mi ha abbracciato dicendo: "Ringrazio il Signore che ha lasciato a me il
compito di salvarlo dalle mani dei tedeschi". Era veramente felice per non dire radioso
per l’azione compiuta in mio favore.
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Alla domenica 5 marzo uscivo dal Collegio ancora accompagnato dal salesiano per mettermi
al sicuro. Ho attraversato Lanzo ed a piedi sono venuto sino a Caselle da questo mio buon
amico che mi ha accolto con fraterna cordialità.
Ora ho deciso di ritornare sulle montagne, presso i miei compagni ed essere al loro fian=
co nel combattimento. So che i tedeschi sono stanziati da Germagnano a Pessinetto e che mi
toccherà forzare le linee tedesche o almeno tentare di evitarle per non cadere nelle loro
mani. Per interessamento di questo mio amico ho trovato un uomo uomo pratico delle montagne
che mi sarà di guida, per cui spero di arrivare salvo nelle linee dei partigiani.
Tralascio di scrivere perché l’uomo che mi accompagna è pronto; tu sta tranquillo e tran=
quillizza i genitori. Io sono certo di ritornare. Comunque abbraccia Papà e Mamma e dirai
loro che il mio pensiero è stato sino all’ultimo momento rivolto a loro che avrei voluto
vedere più tranquilli e felici almeno nella loro vecchiaia. Tu, come sempre, mi sosti=
tuirani con quell’affetto che ti è proprio nel cuore buono e sincero.
Ti abbraccio
Luigi
| L’immagine riproduce la prima pagina della trascrizione a macchina della lettera di Luigi Capriolo al fratello Giovanni, scritta durante i mesi di lotta partigiana, prima della cattura e dell’impiccagione.
L’immagine riproduce la seconda pagina della trascrizione a macchina della lettera di Luigi Capriolo al fratello Giovanni, scritta durante i mesi di lotta partigiana, prima della cattura e dell’impiccagione.
L’immagine riproduce la terza pagina della trascrizione a macchina della lettera di Luigi Capriolo al fratello Giovanni, scritta durante i mesi di lotta partigiana, prima della cattura e dell’impiccagione.
L’immagine riproduce la quarta pagina della trascrizione a macchina della lettera di Luigi Capriolo al fratello Giovanni, scritta durante i mesi di lotta partigiana, prima della cattura e dell’impiccagione.
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